Welcome to the new age

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    Jayden A. Evans



    Il calare del sole portava con sé qualcosa di magico. Forse era proprio per questo che gli antichi credevano in divinità come l’aurora o le stelle. Il tramonto costituiva una fase liminare, un momento di passaggio tra la luce e l’oscurità, tra il caos e la quiete. Jayden respirò l’aria fresca della sera inoltrata, mentre camminando per una strada poco trafficata si interrogava su cose senza senso. Insomma, era assorto nei tipici pensieri demenziali dettati dalla stanchezza, dopo aver passato l’intera giornata al laboratorio dell’università a catalogare materiali per uno stage. Quel lavoro stava diventando uno strazio, soprattutto perché ultimamente, ogni volta che si agitava faceva esplodere qualcosa. E credetemi, far esplodere un Cratere a figure nere del V secolo a.C, non è un buon modo per sfondare nel mondo dell’archeologia! Era snervante dover calcolare ogni propria mossa, soprattutto per uno come lui, che fino a poco prima aveva vissuto tutto molto alla leggera.
    “Evans!”
    La voce di una ragazza lo riscosse dai suoi pensieri. Marie Hartnett, una matricola che seguiva il laboratorio con lui sbucò da un vicolo e si affiancò a lui.
    “Facciamo un pezzo di strada insieme?”. Chiese la rossa, con la faccia truccatissima di chi ha più di una imperfezione da nascondere.
    “Volentieri!”. Rispose, non sapendo minimamente dove la ragazza fosse diretta. Non la conosceva in realtà, era arrivata alla Columbia da pochi giorni a quanto ne sapeva, e a parte il laboratorio, non avevano corsi in comune.
    “Hai visto che figata i vasi della collezione Benson? Il tutor mi ha detto che dopo il restauro li porteranno al Pergamon di Berlino per esporli!”. Per fortuna lei tentò di rompere il ghiaccio, dato l’improvviso mutismo selettivo che aveva colpito Evans da pochi minuti a quella parte. Strano poi, visto che di solito Jayden trovava sempre il modo per mettere becco ovunque!
    “Già, sono fantastici! Non ne avevo mai visti di così ben conservati. E poi le pitture sono stupende!”. Ok, si stava già esaltando, come sempre. “Comunque…sei qui da poco vero? Non ti ho mai vista in giro.” Chiese, tanto per incentrare la conversazione su qualcosa che non fosse materiale archeologico.
    “Si, mi sono…ehm, iscritta da poco.” Si voltò a guardarla, data la sua titubanza nella risposta. Che poi non c’era nulla di strano, magari era solo timida!
    “Posso farti una domanda personale?”
    Jayden alzò il sopracciglio, incuriosito ed allo stesso tempo sorpreso. Insomma, non si conoscevano nemmeno e già erano giunti alle domande personali? Boh.
    “Si…si certo.” Annuì poco convinto. Non gli piaceva parlare di sé, tanto meno con gente estranea.
    “Ti capitano mai cose strane? Non so, magari a lezione…”
    Bene, ora era ancora più perplesso. Ovvio che mi capitano cose strane, sono una specie di mina vagante pronta ad esplodere o a far esplodere cose, che cavolo! Beh, quello non poteva dirglielo.
    “Strane tipo…inciampare sui piedi dei professori, beccare la sedia rotta tutte le volte, far cadere i libri della biblioteca e fare figure di merda? Si, mi succede tutti i giorni!”.
    Sorrise, guardando la strada avanti a loro e continuando a camminare.
    “In realtà parlavo di cose più strane, tipo far prendere fuoco le cose, tramutare l’acqua in ghiaccio, condurre l’elettricità…”
    Il battito del suo cuore accellerò involontariamente. Che lei sapesse cosa era? Ma no, impossibile, era stato attento. E anche se lo sapeva…che voleva da lui?
    Scoppiò in una risata abbastanza convincente. “Fai sul serio? No, nulla di tutto questo! Se fossi un supereroe immagino che il mio potere sarebbe la sfiga! A pensarci potrei essere una specie di Spiderman, ma morso da un gatto nero invece che da un ragno!”. Continuò a ridacchiare, quando sentì la stretta di lei sul suo braccio. Stringeva fortissimo, incredibilmente troppo per una ragazzina della sua stazza.
    “Non mentire.” Sibilò a denti stretti, accostando il viso al suo, senza mollare la presa. Rapidamente, dal largo giubbotto estrasse un coltellaccio e gli puntò la lama alla gola.
    “M-marie, che cazzo fai?”. Balbettò, evidentemente agitato e spiazzato. Non sapeva come muoversi né che fare in una situazione del genere.
    “Vi uccideremo, tutti. E non ci placheremo finchè il vostro sangue non avrà tinto le strade di New York!”. La sua voce rabbiosa divenne innaturale, quasi robotica, mentre continuava a spingergli quel coltello verso la gola. Sapeva che c’era una sola cosa da fare. Lasciare libera quella maledizione di cui era marchiato. Cercò di concentrarsi su di lei, scaraventando lei e la sua arma a qualche metro di distanza.
    Era tutto dannatamente irreale. Perché mai una sua compagna di corso avrebbe dovuto aggredirlo, e perché parlava al plurale? Poco importava al momento, la cosa più saggia era…correre.
    Non fece tanta strada però che si trovò degli individui corpulenti a sbarrargli la strada. Sembravano dei buttafuori, massicci e di carnagione scura.
    “C’è una pazza armata, laggiù. Fat…”. Uno di loro gli puntò una specie di bastone contro il braccio. Da quel punto di propagò una fitta fortissima, che gli pervase il corpo facendolo cadere in ginocchio.
    Una specie di maledizione cruciatus(?). Jayden, tu guardi troppi film!
    Non sapeva che genere di roba fosse, sapeva solo che riusciva a malapena a respirare dato il dolore insopportabile. Riuscì ad allontanare il tipo che lo stava aggredendo con quella strana arma, ancora una volta usando il suo potere, e continuò a correre più veloce che poteva. Il dolore cessò immediatamente, lasciando solo degli strascichi fastidiosi. Quella doveva evidentemente essere la serata del “tutti contro Jayden”. O forse era semplicemente un incubo. Ma se era un sogno…perché faceva così male?
    Non sapeva nemmeno dove stava andando, e non riusciva nemmeno a rendersi conto se qualcuno lo stesse realmente seguendo ancora. Si fermò, nei pressi della vecchia metropolitana abbandonata e si guardò il braccio. Non c’erano segni, né bruciature. Com’era possibile che qualcosa facesse tanto male e non lasciasse nemmeno un segno?
    Il rumore di uno sparo squarciò l’aria. Una fitta lancinante al fianco sinistro.
    “Cazzo…”. Sibilò, appoggiandosi a un muro e portandosi la mano alla ferita. Sanguinava, stavolta era reale.
    Si voltò, intravedendo i due omaccioni di prima e la ragazzina correre verso di lui. A fatica si diresse verso l’ingresso della vecchia metropolitana, sperando di trovare rifugio in uno dei tanti cubicoli che c’erano sotto. Sentiva in sangue caldo scorrere oltre la sua mano, il dolore pulsante che gli toglieva il respiro. Imboccò cunicoli a caso, fino a ritrovarsi in un vicolo cieco. Merda!
    Cadde in ginocchio. Se quella era la fine allora avrebbe combattuto fino alla fine. I passi dei suoi assalitori si fecero più vicini. Gridavano cose in una lingua a lui ignota, che non assomigliava a nessuna di quelle che si sentivano per le strade di New York.
    E infine li vide sbucare dall’angolo, coi sorrisi tronfi stampati in faccia. Erano anche dannatamente veloci, oltre che armati e completamente pazzi.
    “Bruahkkada!”
    Gridò la ragazzina, con la voce robotica che aveva manifestato quando lo aveva aggredito.
    “Fine della corsa, umano!”
    Aggiunse l’uomo armato di pistola e di quell’oggetto strano con cui lo aveva aggredito per strada. Era in trappola, braccato e accerchiato. Di solito nei film in quel momento interveniva l’eroe e salvava lo sfortunato di turno dai cattivi. Ma quello non era un film. E seriamente, chi sarebbe mai venuto in suo soccorso tra i cubicoli della metropolitana abbandonata?
    “Chi siete, che cosa volete?”
    Secondo te? Cosa vogliono tre tizi armati fino ai denti che ti hanno appena sparato e hanno provato a ucciderti in mille modi? Sicuramente cercano il quarto per fare una partita a briscola!
    Li guardò, notando che il viso di Marie era diventato disumano, pallido, con delle protuberanze simili a delle branchie in faccia. Erano una specie di mostri a quanto pareva. Era spacciato.
    E i sorrisi sulle loro facce non lasciavano di certo presagire il contrario.
    “Vogliamo il tuo sangue, e quello dei tuoi simili. E poi, il mondo”.
    Ma cosa cazzo? Ma serio? Capì che quella era una cosa molto più grande di lui, assurda, e dalla quale difficilmente sarebbe uscito.
    Si alzò in piedi, traballando, mentre il sangue continuava a scorrergli, giù verso la gamba. Mise le mani avanti, sperando che con i propri poteri avrebbe potuto parare eventuali attacchi. Se quella era la fine, non sarebbe servito a nulla porre domande. Ma nel peggiore dei casi, li avrebbe portati con sé all’inferno.


    parlato- pensato- parlato alieni(?)


    Edited by Jayden - 7/5/2015, 03:07
     
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  2. Klerey
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    User deleted


    Erano vicini.
    Non m'ero accorta della loro presenza se non all'ultimo secondo, ma quella fluttuazione, quella piccola increspatura nella barriera mi aveva avvertita. È così che li trovavano, scandagliavano la zona con membri della loro razza dotata di particolari poteri mentali. I Percettori li avevo chiamati.
    Ovviamente io non potevo essere indivituata da loro, non subito almeno. Se la barriera si fosse attivata sarebbe stato come suonare una sirena e me li sarei ritrovati addosso. Stavo facendo la paranoica, ma era decisamente il metodo più intelligente per restare in vita. Il secondo metodo più intelligente consiste nel girare i tacchi e allontanarsi, sopratutto se ti ritrovi in un dedalo di vicoli dove non sarebbe saggio passare nemmeno in situazioni ordinarie. E l'avere a che fare con alieni votati all'estinzione dei mutanti non ha nulla di ordinario.
    Allora perché non scappavo? Perché me ne stavo ferma lì, immobile, tesa e pronta a scattare? Non per una fuga ma per un attacco.
    La mia era semplice, patetica curiosità? Volevo forse qualcosa di più di voci, mezze verità e notizie di terza mano per confermare le mie teorie? O ero semplicemente stanca di nascondermi, di posticipare l'inevitabile?
    Non mi diede una risposta il mio istinto o una fredda analisi razionale, fu solo un caso. La barriera si attivò, come sempre, all'improvviso, ricevette una spinta e la rispedì al mittente dieci volte più forte. Il tizio era stato sfortunato, se fossi stata rilassata non avrebbe risentito di alcun effetto, ma con i sensi all'erta la barriera poteva diventare parecchio permalosa e restituire ogni colpo ricevuto con gli interessi.
    La sirena era attiva, e ciononostante non avvertii risposte. Ora era chiaro che, come sospettavo, stessero dando la caccia a qualcuno. Ciò significa che avevo un po' di tempo così mi preparai a fronteggiare Mr. Curioso.
    Ed eccolo lì, all'inizio del vicolo, un ragazzo ben piantato che si scompigliava i corti capelli scuri, tenendosi le mani sulle tempie per tentare di scacciare quel fastidioso pulsare da dentro la sua testa.
    Aspettai che si riprendesse quel tanto che bastava perchè mi potesse guardare in faccia. Begli occhi, intensi. Ma rovinati, iniettati e stanchi. In quel momento riconobbi subito un Kingston. Solo quei pazzi arrivavano a ridursi gli occhi così, uno dei cari regalini del Phobos.
    Come i Riven hanno la loro maledizione così i Kingston hanno la loro, pensai. Le due famiglie erano in contatto un tempo, ora erano decadi che uno dei membri non ne incomtrava uno dell'altra famiglia. Curioso.
    "Mi hai scambiata per uno di loro? È comunque poco educato sondare la mente di chi non conosci."
    Non rispose subito e potei ben intuire il motivo della sua sorpresa: non si resiste all'indagine di un Phobos. Nessuno poteva. A parte me.
    In quel momento echeggiò uno sparo, da un vicolo poco distante che portava ad una vecchia linea della metropolitana.
    "Dato che mi hai fatto saltare la copertura vado a metterli fuori gioco prima che rintraccino anche me. Dai una mano o levati dai piedi."
    Era ancora lì quando uscii dal vicolo, potevo sentire il suo sguardo puntato addosso, la barriera fremette di nuovo.

    Era un ragazzo. Tre alieni giravano in cerchio attorno a lui, pregustando la preda, uno, il Percettore, ancora celato sotto spoglie umane. Uno degli emergumeri sanguinava da una profonda ferita al braccio, ma pareva non curarsene.
    Se il ragazzo era riuscito a colpirlo forse questo gli aveva fatto guadagnare abbastanza fama da impedirgli di balzargli subito addosso. Ma anche lui era ferito e se avesse perso i sensi sarebbe stato impotente.
    Non che avessi molta scelta. Un passo alla volta mi feci avanti, facendo rimbombare l'eco in tutta la galleria ma nessuno di loro si voltò finchè non mi ritrovai a pochi metri da loro.
    "Ehi!" richiamai l'atrenzione del Percettore che mi rivolse un sogghigno a tutto denti. "Che ne dite di prendervela con qualcuno un po' più capace?"
    Il Percettore non si fece attendere ed usò subito il suo attacco più diretto e potente. Grosso errore.
    La barriera si tese allo spasmo, assorbendo in un colpo tutta l'energia che gli era stata scagliata contro, condensandola e rispedendola al mittente con una forza micidiale.
    Dove un secondo prima c'era una ragazzina dal sogghigno inquietante, ora si contorceva una massa di muscoli ululante, mentre le cellule del suo cervello venivano uccise una dopo l'altra, spazzate via in una feroce reazione a catena. Il corpo della ragazzina si trasformò, mutò contorcendosi in pose assurde prima di perdere definitivamente la copertura e rivelare il vero aspetto che stava nascondendo, ora un cadavere che si schiantò a terra con uno schiocco secco.
    Per un secondo nella galleria regnò un silenzio tombale, scandito da una goccia che cadeva in una pozza, da respiri alieni e affannosi, da un battito di cuore.
    Poi la loro rabbia esplose. Feci appena in tempo a gettarmi di lato per schivare la carica di uno degli energumeri e mi difesi alla bell'è meglio dall'assalto dell'altro con un palo di ferro convenientemente preso da terra.
    "Perfetto, Breeze. Sei nei guai." Anche se quelli avessero posseduto armi mentali di certo ora non le avrebbero usate vista la sorte toccata al loro capo. "Avrai eliminato il più pericolo ma anche questi non scherzano eh?" Doveva proprio essere la giornata giusta per cacciarsi nei guai.
    "Ehi ragazzino! Se sei ancora vivo una mano mi farebbe comodo!" urlai mentre calavo la mia arma improvvisata sulle spalle dell'avversario, sbilanciandolo quel tanto che bastava per potermi portare fuori tiro. Quegli esseri erano forti ma non molto veloci ed usando le armi da fuoco non mi avrebbero colpito senza rischiare di impallinarsi a vicenda, non finchè avrei continuato a muovermi.
    E potevo muovermi molto velocemente se la situazione lo richiedeva. Sapevo però benissimo che non avrei potuto correre per sempre.
     
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