In my remains

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Infamous
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Corridoi, corridoi e ancora corridoi ecco cos’era in sostanza la base dell’ordine dei cacciatori, centinaia e centinaia di corridoi intervallati qua e la da qualche porta per l’accesso a varie stanze quali gli alloggi dei soldati o le sale d’addestramento o i centri d’informazione, proprio in uno di questi era diretto Densil in particolare voleva accedere alla stanza dove i membri del consiglio tenevano i loro documenti, il ragazzo sapeva che lì avrebbe trovato un archivio in cui erano schedate le persone che come lui avevano dei poteri e considerate pericolose, naturalmente si sarebbe servito di quelle informazioni per contattare questi individui e convincerli ad unirsi a lui.
    Oltre a quei dati voleva trovare qualche informazione sulla notte in cui era morta sua madre Rebecca, era sicuro che l’ordine avesse avviato un’indagine o una caccia per capire cosa fosse successo quella terribile notte, come mai i lycan avevano attaccato la donna e non Edward e del perché poi non vi fosse stata nessuna rivendicazione.
    Per Densil però la cosa più stupefacente era la mancata reazione da parte dei cacciatori a quello che era stato un vero e proprio attentato alla sicurezza delle famiglie dell’ordine, nei mesi a seguire non era stata compiuta nessuna rappresaglia e non era stata posta nessuna taglia, questo fatto agli occhi del ragazzo appariva molto strano e per questo si era deciso ad indagare.
    Dopo l’ennesimo corridoio arrivò finalmente ad una porta nera alta quasi due metri e larga altrettanti, per entrare era necessaria una chiave in possesso solo ai membri del consiglio e alle persone a loro vicine, una di queste era sua sorella e proprio a lei Densil l’aveva rubata; si guardò un attimo intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno e poi inserì la chiave, la porta si spalancò, Densil accese la luce e ai suoi occhi si presentò una stanza spoglia: al centro un grande tavolo di mogano scuro e quattro sedie rosse con ornamenti dorati disposte una per lato.
    La cosa più importante che vide però fu l’archivio dall'altra parte della stanza, vi si precipitò senza rendersi conto di non aver chiuso completamente la porta ma di averla lasciata leggermente socchiusa.
    Il ragazzo iniziò subito a frugare tra i vari documenti fino a quando uno in particolare attirò la sua attenzione, più del nome del documento era la data ad essere indicativa “25 maggio 2005: operazione rieducazione” quel giorno c’era stato l’attacco a casa sua in cui era morta sua madre… Prese tutto e sedendosi al tavolo iniziò a leggere, all'interno della cartella erano riportate varie conversazioni avvenute tra un certo Master K e due Lycan, i tre si erano incontrati in seguito ad una retata dei cacciatori e il primo aveva offerto loro la libertà in cambio di un favore, questi consentiva nell’uccidere Rebecca Kingston, l’uomo avrebbe fatto in modo di far allontanare le varie sentinelle che tenevano d’occhio la casa in modo tale da dare via libera ai due assassini.
    Densil all’epoca era poco più di un ragazzino e non aveva pensato alla stranezza della facilità con cui i due licantropi avevano attaccato e di come inspiegabilmente non ci fosse nessuno a difendere la casa, dopo tutto quella era l’abitazione di un membro del Consiglio, ora però tutto era chiaro, l’attacco in realtà era stato architettato da un membro dei cacciatori e solamente un membro importante aveva il potere di ritirare la squadra a protezione dei Kingston dunque il mandante era un membro stesso del Consiglio.
    Quello che aveva appena scoperto scioccò Densil ma il peggio avvenne quando scoprì in fondo al documento i motivi per cui era stata orchestrata quella messinscena “Si pensa che questo episodio sarò fondamentale per far riavvicinare alla nostra causa i soggetti Ribelle 1 e Ribelle 2” I due soggetti erano ovviamente lui e sua sorella ma il piano non doveva essere andato come speravano visto l’allontanamento sia suo che di Faith.
    Finì di leggere anche l’ultimo documento della cartella in cui vi erano i nomi dei due lupi: Friedrich e Logan.
    Prese tutto deciso a portarsi via quelle informazioni per studiarle più a fondo, ora doveva dedicarsi alla seconda parte del piano, cercare le schede di possibili confratelli da contattare. Mentre si accingeva ad avviare la ricerca sentì dietro di se la porta aprirsi, si girò di scatto pronto a combattere ma la visione della persona che era entrata lo lasciò stupito.
    “Valary….” Disse in un misto di stupore ed emozione.

    Edited by Infamous - 30/6/2014, 16:28
     
    .
  2. david & goliath
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted



    Carey-carey-mulligan-33470925-500-213 L’unica cosa che Valary sapeva di quel posto era che non le era mai piaciuto del tutto. Non così tanto, almeno. Sin da quando aveva camminato per la prima volta quei corridoi da bambina, aveva come avvertito un’ombra scura e pressante aleggiarvi costantemente assieme all’aria tanto densa da rendere difficile il respiro. Non le piaceva, decisamente. Quell’odore insistente di metallo e disinfettante le faceva pensare ad un ospedale, o meglio ancora, ad un manicomio. Sembrava che chiunque vi entrasse fosse in un certo senso destinato a restarvi e ricevere una qualche cura, qualunque essa fosse. Quanti esseri d’ogni razza aveva visto varcare quelle porte scorrevoli e non fare più ritorno in superficie? Fin troppi. Una volta, quando era ancora troppo piccola per ricordare a menadito dove conducesse ogni corridoio e cosa si nascondesse dietro ogni porta, si era persa. Aveva cominciato a vagare e vagare senza meta, sicura che prima o poi avrebbe ritrovato l’uscita. Non ricordava neanche perché fosse sola e cosa l’avesse spinta a recarsi in quel luogo così poco adatto ad una bambina. Tutto ciò che riusciva a ricordare era che non aveva detto una sola parola. Non aveva urlato, non aveva chiesto aiuto. Niente di niente. Piuttosto, aveva continuato a svoltare e a ripercorrere ripetutamente gli stessi corridoi fino a quando non aveva riconosciuto una porta. La più grande, quella di metallo massiccio: la porta della sala delle armi. Allora, riconosciuto il cartello che in un qualche modo spiegava cosa si nascondeva lì dentro – non sapeva ancora leggere, del resto – aveva pensato che solo lì sarebbe potuta essere al sicuro. Era entrata e si era accovacciata in un angolino, aspettando che qualcuno la trovasse. E quel qualcuno l’aveva trovata eccome. Chissà come o per quale motivo, Densil l’aveva trovata a colpo sicuro. Ora, a distanza di anni, Valary si riconosceva sola e sperduta quasi quanto lo era stato da bambina. Ogni cosa attorno a lei era tornata ad essere troppo troppo grande e l’infinita soggezione che quei luoghi sembravano imporle rendevano tutto un ostacolo invalicabile. Un tempo, Valary si era creduta forte, quasi invincibile. Era un’eroina a tutti gli effetti, votata alla giustizia, condotta con un equo senso del dovere. Poi però, suo malgrado, aveva compreso che non vi era alcun senso di giustizia nella vita vera, quella vissuta ogni giorno al di fuori del guscio da cacciatrice. Allora, forse solo in quel preciso istante, il mondo di Valary le era crollato addosso, come un’inarrestabile valanga che l’avrebbe sommersa forse per sempre. Per tutto quel tempo, aveva creduto in una follia. Una mera bugia servitale su un piatto d’argento, una menzogna edulcorata quanto bastava affinché credesse nei supereroi. Alla fine di tutto, però, i suoi eroi erano scomparsi, uno ad uno, come fumo sottile nella fredda aria invernale di New York, disperdendosi nella bruma, lontano dal suo sguardo ma non abbastanza per allontanarsi in via definitiva dal suo cuore.

    I suoi piccoli passi ticchettavano frenetici sul pavimento scuro, l’eco che risuonava spento nel vuoto. Passo dopo passo, Valary dimenticava la ragione della sua visita a quei luoghi. Come quando era bambina, sembrava che quelle pareti di freddo metallo, così spaventose e impersonali al contempo, riuscissero ad indurla all’oblio. Tutto era simile a se stesso, neanche una variazione era concessa in quell’universo rigido e tagliente. Ogni porta era perfettamente identica, ogni corridoio, ogni cosa. Ma come una minuscola cicatrice solca una pelle perfetta, così uno spiraglio leggero si apriva in tutta quella ordinarietà. Una porta socchiusa, un soffio d’aria leggero, un filo d’erba verde in un prato bruciato dal sole. Valary aggrottò le sopracciglia, avvicinandosi lentamente. Osservò la porta riconoscendo la stanza degli archivi, chiedendosi perché una stanza così importante per la Congrega fosse lasciata all’incuria. Si avvicinò piano, sfiorando la maniglia con due dita, aprendo con lentezza. Una figura si stagliava nella semioscurità della stanza. L’aveva già vista? Forse sì. Piegò appena il capo, giusto per scrutarla ancora. Familiare. Decisamente familiare. Eppure... Come un fantasma del suo passato, quella figura le ricordava qualcosa. Si schiarì la voce tossicchiando appena. « Valary. » E tutto divenne un crescendo di emozioni confuse. Sorpresa. Felicità. Rabbia. Confusione. Quanto tempo aveva atteso quel momento? Quanto a lungo aveva sperato di poter gridare: « Densil! ». E di correre verso lui, e abbracciarlo, e chiedergli perché mai avesse deciso di sparire dalla circolazione e... Eppure, Valary non si mosse, il peso della propria ansia a fermarla sulla soglia di quella porta come un pesante macigno legato ai suoi piedi, pronto a farla sprofondare.
     
    .
1 replies since 26/6/2014, 22:20   55 views
  Share  
.