In un tempo morto

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    ''Cerco il bene nell'orrore''



    '' Ricordi confusi accompagnano i miei miglioramenti, ricordo il giorno in cui misi piede al Craven: era sera, mio padre aveva chiamato l'ambulanza, io ero frastornato, ricordo che un susseguirsi di voci mi sommersero e poi più nulla, le pareti fredde del luogo in cui mi trovavo mi fecero compagnia. Mio figlio sta male! Aveva ripetuto l'uomo alla cornetta, per poi metter giù ed afferrarmi con forza le braccia. Ero stanco, ero stufo, avevo fame eppure non riuscivo ad ingoiare nulla. Ricordo che la settimana che precedette il mio ricovero l'avevo passata chiuso nella mia stanza. Evitavo di uscire, evitavo di farmi vedere, evitavo di mangiare, Jimmy aveva ottenuto il primo posto: in piedi sopra il suo piedistallo dorato mi impartiva ordini su ordini. La sera venivo costretto ad ingoiare almeno una fetta di pane, la notte non riuscivo a dormire. Pierre se ne era andato ed era stupido il modo in cui reagii alla sua dipartita. Non mi era rimasto più nessuno, ne ero consapevole. Mio padre iniziò a schifarmi quando si ritrovò davanti la mia cronologia di siti porno che,per forza maggiore, giornalmente visitavo. Sei un fottutissimo frocio! Miliardi di persone al mondo e proprio a me, doveva capitare il figlio checca! Mi aveva urlato colpendomi in pieno viso, affermando che se mai avessi portato il ''fidanzato'' a casa, mi avrebbe chiuso fuori dalla sua vita. A me non importava più nulla, incameravo tutto con la consapevolezza che prima o poi sarei esploso. La sera in cui vennero a prendermi ero completamente fuori di me. Non sapevo in che stato fisico mi trovavo, eppure sentivo un irrefrenabile bisogno di arrestare la mia mente. I dottori mi dissero che fissavo davanti a me, che ripetevo frasi sconnesse e piangevo se mi veniva chiesto di Jimmy. Ma chi è veramente Jimmy? Le uniche persone che ricordo fecero parte della mia infanzia furono: Pierre e mia madre, ora tutti e due sono andati via - seppur in modo differente - e l'unica cosa che mi è rimasta della mia fanciullezza è quella cicatrice verticale che sembra dividermi in due il petto. Papà mi aveva raccontato di un delicato intervento al cuore, ma io non gli credetti mai. Arrivai al Craven. Stupidamente mi misi immediatamente nei guai, tentando di accarezzare le intimità di un'infermiera, mi aggiudicai l'isolamento grazie a dei graffi che mi procurai sulle braccia e sul viso. Ero sciocco, soffrivo. Ogni giorno passato in quel luogo non faceva altro che rovinarmi. Mostrai il mio corpo a chiunque mi avrebbe donato del semplice sesso clandestino, ero persino arrivato a barattare le pillole umide di saliva -che giornalmente nascondevo sotto la lingua- per del sesso senza sentimenti. Cercavo con avidità qualcuno che mi mostrasse e donasse un pò d'amore, l'unico contatto fisico che avrei ritenuto opportuno sarebbe stato un abbraccio. Quando si ama una persona, il sesso diviene qualcosa di effimero, non arrivi a necessitarne in quantità anormali come quando sei malato e soffri di Satiriasi. Ma nessuno di loro sapeva donarmi qualcosa, spesso mi ritrovavo a guardarli con espressione inorridita, arrivando persino ad interrompere il rapporto se quest'ultimi tentavano di baciarmi le labbra. Non amai mai nessuno, tranne te. Era febbraio quando mi trovasti, il vento soffiava forte e le miei occhiaie sembravano dar colore alle mie giornate. Arrivasti velocemente e ti prendesti tutto, non osai mai privarti di nulla, tutto di me ti apparteneva, il mio corpo così come la mia anima si avvicinarono a te nel frangente in cui capiiche solamente tu, avresti potuto amarmi. Qualcosa di affascinante e di sottile si nascondeva dietro al tuo sguardo azzurro, ogni cosa di te mi rendeva sicuro. Ringrazierò il fato per avermi donato te. Ti sei rivelato essere uno tsunami ed impetuoso mi hai travolto, lasciandomi inerme, lasciandomi stordito. Sapevo di averti amato sin dal primo giorno, eppure non riuscivo a percepire a pieno il significato di quelle parole, di quel sentimento. Ero solamente un bambino, eppure tu riuscisti a capirmi e a proteggermi. Nel nostro piccolo, nel nostro strano mondo, nei colpi che mi donasti facendo tremare di dolore il mio corpo ferito, io sapevo perfettamente cosa saremmo stati noi due. Decisi di mostrarti il mio amore proprio quella sera in cui tu decisi di mostrarmi la tua rabbia. Eri migliorato, stavi guarendo, finalmente provavi - seppur in modo blando - dei sentimenti che ti appartenevano. Nessuno dei due sarebbe stato dipendente dalle mie emozioni altalenanti. Mi implorasti di non lasciarti ed io strinsi ulteriormente la mia presa. Ti amai Edric e mai in tutta la mia vita provai un sentimento così forte ed impetuoso, anche adesso che non ci sei, anche adesso che non mi vuoi, ricordo te come il fulcro dei miei giorni migliori. Mi migliorasti, mi accettasti, mi parlasti del nostro mondo, ascoltando con attenzione tutto ciò che avevo da dirti. Fosti la prima persona in grado di leggermi, di vedermi per com'ero veramente, solo tu eri capace di donarmi spontaneamente quell'amore di cui avevo bisogno. Quella sera, per la prima volta, avevi premuto il tuo corpo contro il mio ed io, lasciandoti fare, mi beavo dell'odore della tua pelle, di quel calore che mi aveva cullato in quelle notti in cui non era il sesso a renderci un'unica persona. Facesti scorrere le tue dita sulla mia pelle, accarezzandomi il collo, accarezzandomi il petto ed inerme, mi lasciai andare al tuo tocco. Le tue mani sul mio corpo erano la mia salvezza, la casa nativa in cui non ero riuscito a tornare, quel nostro contatto era pane per i miei denti, cibo per il mio stomaco, aria sopra la mia pelle accaldata, acqua sopra le mie labbra. Rappresentasti tutto ciò di cui nutrivo il bisogno e più volte cedetti a quei tocchi, più volte mi sarei nutrito delle tue emozioni. Ti avrei amato più volte, tante volte, per sempre, ogni volta. Toccami Edric. Disegnasti il mio corpo con l'ausilio dei polpastrelli, io evitai di accarezzarti ulteriormente, evitai di toccarti e di vederti marcire sotto i miei piedi. Ero così impuro. Mi afferrasti la mano, indietreggiando verso quel letto freddo che settimane prima ci aveva accolto, ti sdraiasti sulle coperte fredde e mi invitasti a seguirti. Non hai paura? L'unica paura che mi attanagliava era quella di perderti. Per la prima volta in tutta la mia vita nient'altro importava se non noi. Mi sdraiai accanto a te e con l'indice accarezzai la linea delle tue spalle. Eri perfettamente bello, se fossi stato un artista, probabilmente ti saresti rivelato essere la mia musa. Osservavo le pieghe della tua pelle ed il tuo colorito pallido che tanto mi affascinava, quel colorito che sembrava ricordarmi quanto tu fossi perfetto ai miei occhi. Sapevo di arrossire ogni volta che il mio sguardo ricadeva sui tuoi grandi occhi azzurri e sulle tue labbra rosse, eppure non tentai di nascondermi. L'erezione iniziava ad intravedersi sotto quel blando pezzo di stoffa, ma non me ne preoccupai. Non potevo nascondere l'amore fisico e mentale che provavo per te. Per me eri tutto. Lasciai che le mie mani si avvicinassero al tuo corpo, e ti accarezzai le labbra, ridisegnando con parsimonia il contorto di quest'ultime. Erano belle, baciami di nuovo Edric. Il silenzio ci abbracciava, non riuscivo a non accarezzarti, il battito del mio cuore sembrava echeggiare. Era forte, era vigoroso. Posai una mano su uno dei tuoi fianchi e mi chinai sul tuo petto, baciando delicatamente dove avrebbe dovuto trovarsi il tuo. Non avevo intenzione di abbandonarti, non lo farei tutt'ora. ''


    Benvenuti nel dolore più profondo, benvenuti nel paese del tempo bloccato, nel mondo dei sogni infranti. Benvenuti nel tormento più oscuro e freddo, benvenuti nel limbo. Benvenuti nella vita di chi vive aspettando, benvenuti tra la gente vera, genuina, colma di sentimenti che mai i ''sani'' riusciranno ad accettare. Benvenuti nel Craven, la casa dalle pareti bianche e fredde dove Teddy riuscì ad innamorarsi per la prima volta. Il tempo aveva iniziato a scorrere velocemente da quando i dottori avevano iniziato a sorridere al ragazzo, il tempo aveva iniziato a scorrere velocemente da quando Edric aveva iniziato a dare segni di miglioramento. Chiuso nel suo piccolo e marcio mondo, Charlie fissava imperterrito il paesaggio oltre la finestra, lasciando che lo sporco rappreso sui vetri rovinasse la sua visuale. Egli non voleva vedere, non voleva più ascoltare, mangiare, parlarne, né respirare. Immobile in un tempo che non sembrava appartenergli, egli si aggrappava con disperazione alla sua stessa vita e a quella dei pazienti che,nonostante i vecchi avvenimenti, continuavano a girargli attorno, affamati di carne giovane, affamati di emozioni diverse. Cannibalismo emotivo, le persone venivano rinchiuse in quel posto con il solo intento di barattare i propri sentimenti, iniziando a sviluppare invidia e gelosia nei confronti degli altri. Teddy non era guarito, lo sapevano tutti, lo aveva capito persino egli stesso, eppure da quando nella sua vita era entrato Edric Sanders, nulla aveva avuto lo stesso valore. Ignaro di ciò a cui sarebbe potuto andare incontro, Charlie decise di nuotare nella malattia, abbracciando il corpo spoglio e vuoto del giovane ragazzo che proprio come lui, osservava gli altri con la bramosia di chi desidera tutto. Bestie affamate erano loro. Bestie che più volte tentarono di mendicare amore, un sentimento semplice, che gli spettava di diritto e di cui non avrebbero più fatto a meno. Proprio come successe con Pierre, Charlie si lasciò andare, perdendosi nella speranza di poter essere finalmente normale, umano come gli altri e desiderabile per qualcuno. Edric per lui era tutto e nulla, un miscuglio di emozioni forti ma contrastanti. Edric era il moto che mandava avanti la sua vita, ciò che lo aiutava ad aprire gli occhi al mattino. Edric era colui a cui Teddy decise di donare tutto, mettendo a nudo le proprie emozioni fragili, sporche, ingannatrici e terribilmente tristi. Cosa poteva fare? Come poteva migliorare la propria situazione? Bisognoso d'amore, egli non avrebbe mai resistito ai forti impulsi che il giovane dai grandi occhi glaciali faceva nascere in lui, eppure non poteva chiudere il cuore e far finta che quegli attimi non sarebbero mai finiti. Era chiuso nella sua stanza, lontano da tutto e tutti, lontano da se stesso, da Jimmy e da Edric. Credeva di potercela fare, eppure non era riuscito a reagire bene. «Se ti comporterai bene, potrai uscire insieme al tuo amico Sanders.» Lui l'aveva capito, non era sciocco, non era malato come tutti credevano, né perso come molti tentavo di dimostrare, eppure alla sola idea che presto - molto presto - sarebbe rimasto da solo, diede di matto. Era Charlie, andava compreso, andava aiutato, eppure ogni volta che lo trovavano tra le gambe di qualcuno, non facevano altro che trattarlo in malomodo, evitando di dargli modo di spiegare. Per i componenti dello stabile e della sicurezza, egli non era altro che un porco depravato in preda ad istinti sessuali che non riusciva a controllare, un malato da sfruttare nei momenti di voglia repressa. Tutti si fottevano o si facevano fottere da Charlie senza sapere il motivo per cui egli si lasciava andare con così tanta facilità a certe tentazioni. Egli non era orribile come gli avevano fatto credere, egli era solamente il più sincero tra tutti. Continuando a fissare fuori dalla finestra, aveva iniziato a giocare nervosamente con una matita che gli era stata concessa di tenere, lasciando che la punta spezzata di questa si muovesse lentamente lungo le vene verdastre che coloravano la sua pelle pallida dalle notti passate insonne. Aveva passato mesi di puro benessere, pace che Edric riusciva a donargli, eppure bastò una notizia per nulla buona a farlo cadere nuovamente nel limbo in cui combatteva da mesi. Fallo Charlie. Il ragazzo scosse velocemente la testa, senza però allontanare la matita dal polso. Non è così complicato. Teddy deglutì più volte prima di premere l'asticella di legno contro la pelle candida. Non ce l'avrebbe fatta, eppure immaginava il sangue sgorgare liberamente fuori dalle sue vene. Lui ti odia, proprio come ti odiava Pierre. Perché credi che abbia deciso di gettarsi sull'asfalto? Flashback dai colori vivaci si susseguirono nella sua mente, flash back che ritraevano un corpo morto disteso verso la strada. « Ti prego, alza gli occhi dall'asfalto...» mormorò implorante, alzando la mano per poi riavvicinarla velocemente contro il polso. La carne si faceva rossa, iniziava a gonfiarsi ed il dolore,seppur lieve, gli dava quella stessa sensazione di pace che avrebbe provato stando accando ad Edric. Dov'era Edric? Charlie aveva deciso di sparire, aveva deciso di rintanarsi nel suo piccolo rifugio con l'intento di cacciar via quei brutti pensieri...tentando di abituarsi all'assenza del ragazzo. La situazione aveva iniziato a peggiorare, il dolore e la voce di Jimmy erano tornate a surclassare la sua mente, distruggendo ogni bel ricordo che egli avesse tentato di difendere con estrema gelosia. Un altro colpo veloce e le schegge di legno graffiarono la sua pelle. Urla di disperazione fuoriuscirono dalle sue labbra pallide, urla di disperazione riempirono quel vuoto. Io ti amo più di loro. Ranicchiandosi sotto al lettino di metallo, in un angolo freddo e polveroso, il ragazzo continuò ad urlare sfregando con forza la matita contro la pelle, disegnando realtà che non gli era concesso vivere.


    Edited by La Peur. - 14/6/2014, 00:21
     
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    tumblr_inline_mm6wsdwtyM1qz4rgp"Siediti Edric."
    La voce calma dello psichiatra arrivò alle sue orecchie e le attraversò con un nulla di fatto. Quel luogo lo turbava e lo affascinava allo stesso tempo. C'era un mezzo busto in marmo bianco tra i grossi volumi pieni zeppi di schizzati e cervelli strizzati, con una grossa e folta barba finemente scolpita da mani esperte. Non passava visita senza che Edric si soffermasse a fissare quella piccola scultura, con aria di sfida. Ultimamente sentiva molto meno risentimento nei confronti di quella statua che, silenziosa, li giudicava tutti: giudicava tutti i pazienti e teneva per sé i suoi commenti con aria di superiorità. Odiava quella statua, aveva sognato mille volte di gettarla fuori dalla finestra. Perché non aveva mai sfruttato uno scatto d'ira, quando ancora tutti lo credevano pazzo?
    (avresti dovuto dargliene motivo. Un pazzo non sa di essere pazzo. Sei pazzo Edric?)
    "Stai bene Edric?"
    (sei pazzo Edric. Solo che ancora non lo sai. O non lo sai più?)

    "Tutto ok." Soppesò tra le mani il peso di una sincerità che non usava da così tanto tempo. Era tutto ok. Stava bene, davvero bene e non il "bene" che molti usavano per quell'ora d'aria in più utile a scappare oltre la recinzione del giardino. Non sarebbe mai scappato, aveva un mondo in perfetto equilibrio. Audrey non gli mancava più così tanto. Strisciò i piedi verso la poltroncina innanzi alla grande scrivania del dottore. Nascose sotto di essa le dita tremanti, le sessioni di psicoterapia l'avevano sempre innervosito molto. Odiava parlare di sé, odiava parlare e basta.
    "Lo vedo. Sei migliorato molto, rispondi bene alla terapia, hai fatto dei passi da gigante."
    Non rispose, non sapeva neppure se ci fosse una risposta da dare. Quando pensava a sé stesso, Edric non vedeva che un caotico coacervo di problemi e fallimento e volgeva lo sguardo altrove. Ma non poteva affatto negare che un cambiamento era avvenuto, sebbene non fosse sicuro se si trattasse di un miglioramento. Aveva iniziato da qualche settimana a provare qualcosa, delle emozioni piccole e spontanee che risalivano la voragine che aveva sempre oscurato il suo animo; era più che altro felicità, gioia nel sapere di potersi aggrappare a qualcuno quando quella voragine rischiava di farlo cadere giù. La mano del suo salvatore era divenuta tutta la terapia di cui aveva bisogno per sopportare i deliri della propria mente malata. Lo psichiatra sembrava soddisfatto, aveva la stessa espressione gonfia e vibrante di chi stringe tra le mani una coppa dorata. Sentiva sulle labbra il sapore di un successo, un caso clinico da sbandierare col petto in fuori e la cresta alzata ai prossimi tre convegni di psichiatria; poteva sentire il suo orgoglio scivolare sulla pelle, puzzava di marcio. Il dottore annotò con la penna stilografica qualche breve appunto sulla propria agenda rilegata in pelle, sorridendo sotto i folti baffi grigi. "Sono felice di darti una buona notizia. Abbiamo valutato con gli altri medici la tua situazione e.. che dirti? Puoi tornare a casa." I grandi occhi di Edric, vacui e incerti, si soffermarono su quelli dell'uomo alla ricerca di un barlume di scherno, investigando su quale potesse essere il reale significato. Ma era chiaro, limpido, senza doppi sensi. A stento ricordava il letto su cui aveva dormito da quando era bambino, ad un passo dalla camera di Audrey. Il profumo dei pancakes la mattina. La TV accesa in salotto. Era cambiato il mondo là fuori? Ne esisteva uno? Tutto il mondo di cui aveva bisogno era racchiuso dentro quelle quattro squallide mura, nascosto tra le lenzuola bianche e il ferro del proprio lettino. Passò in rassegna ogni singolo ricordo della propria vita prima del Craven e in nessuno di questi riuscì a scorgere la pelle chiara del corpo nudo di Teddy.
    Teddy.
    (solo tu ed io)
    Guardami Teddy.
    (non ne hai bisogno)

    Si alzò di scatto dalla poltrona, senza tuttavia muovere un muscolo di troppo. Rimase in attesa, come sempre faceva, di un permesso, un segnale che la sessione fosse terminata. Lo psichiatra era troppo su di giri per non lasciarlo andare, guardandolo sfrecciare oltre la porta come un bambino ammira il pettirosso a cui ha curato l'ala finalmente prendere di nuovo il volo. Per sempre. Si era sempre chiesto come fosse volare liberi, senza catene. Le voci nella testa non avrebbero mai permesso alla sua ala di guarire tanto da volare via ma amava quella sua menomazione. Aveva fatto dello stare bloccato a terra un dono, un'inaspettata benedizione. Le urla di Charlie resero più veloce la sua corsa. Doveva vederlo. Doveva essere sicuro che stesse bene e riprendersi a sua volta. Aveva bisogno di lui più del litio e allo stesso modo separarsene bruscamente senza i segni dell'astinenza sarebbe stato impossibile. Non si supera una dipendenza. Sapeva perfettamente dove cercare Teddy, conosceva le sue torri bianche, le sue campane a protezione contro il mondo intero. Bloccò la porta della camera con una sedia e si gettò sul pavimento, il petto adeso alle piastrelle fredde. Lo fissò perché non serviva altro ad entrambi che uno sguardo.
    (lascialo morire)
    "Teddy." Allungò appena la mano oltre il bordo del letto, sfiorando un sottile strato di polvere. "Guardami Teddy." Sfruttò la propria voce per cullare entrambi in una rinnovata illusione. Quando erano soli, anche la più sciocca fantasia sembrava realizzabile. Libertà. Salute. Amore. "Guardami." Sto soffocando. Non lasciarmi morire. "Guardami."
    Non ti lascerò morire.
    Non ti lascerò mai.
     
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  3. La Peur.
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    ''So cosa significa voler morire e che sorridere fa male.
    E che ci provi ad inserirti ma non ci riesci.
    Che fai del male al tuo corpo per cercare
    di distruggere la cosa che hai dentro.''
    - Ragazze interrotte -



    21 febbraio di un tempo morto.

    Cosa c'è? Nulla, troppo, tanto, qualcosa, cosa c'è? Mi tremano le mani, credo di avere qualche strano tic: la testa accenna dei ''no'' veloci e spezzati. Non guardarmi, sono così mostruoso, i miei occhi sono violacei, non riesco a capire se sto piangendo o meno. Ho freddo, ho caldo, non riesco a non tremare. Apro la bocca eppure da quest'ultima non sembra uscir nulla. La mia testa continua a muoversi senza il mio consenso. Lui può lacerarti. Stringo i pugni e mi colpisco la testa come di consueto. Lui non cessa di parlare, la mano non smette di muoversi. Lui continua a guardarmi ed io non riesco a non provare sentimenti di disgusto verso me stesso. Alzo la testa e riprendo a guardarlo. Sono chiuso in un mondo tutto mio. Un velo invisibile mi divide da quell'estraneo ed io non oserò allungare la mano, non oserò sorpassare quella linea immaginaria. Mi sento così solo, così incompreso, così odiato, così brutto, così malato, così voglioso di attenzioni. Necessito di qualcuno che mi salvi perché non sono in grado di potermi salvare da solo. Non riesco, davvero. Lo osservo imperterrito, studiando con attenzione ogni suo tratto facciale. I suoi occhi mi piacciono, mi spaventano. Credo che siano l'unica cosa adorabile che io abbia mai visto in quel posto. Edric Sanders verrà ricordato per sempre per i suoi grandi ed immensi occhi glaciali. Con il suo arrivo ha fatto tornare la primavera dentro di me: i corvi hanno cessato di volare sopra la mia testa, il mio corpo ha smesso di emanare quel cattivo odore, il mio mondo sta riacquistando colore. Ora gli uccellini cantano per me, appollaiati su grandi ciliegi in fiore. Il mondo profuma di odori piacevoli e nuovi. I tuoi occhi Edric, erano i fari che illuminavano ogni mio passo. Vorrei che tu potessi vedere il modo in cui ti sto guardando io ora. Vorrei vedere ciò che vedi tu nel guardarmi. Perché sono giorni che continuiamo a fissarci senza dir alcuna parola? Perché sono giorni che non riesco più a ricordare. Come mi chiamo veramente? Io sono Charlie, Charlie Marshall. Inizio a ridere di gusto senza alcun motivo valido. Il vero me sta andando in escandescenza. Rido, mi spingo sempre più verso il muro. Premo sulla ferita che ho sul ventre. Quando rido mi fa male, quando rido la mia faccia mi fa male. Gli uccelli mi hanno mangiato il petto. Finisco di ridere e sento qualcosa di caldo scendermi sulle guance. Non sono più in grado di nascondere alcuna emozione, alcun sentimento. Sono un libro aperto e ciò mi spaventa. Voglio che la smetta di guardarmi, non voglio che quell’estraneo capisca. Non riuscirà a capire. Rimaniamo rintanati nella nostra ignoranza. So che siamo tutti e due qui per dei motivi simili, so come il mondo ci guarda e come vorrebbe farci fuori. Posso capire la tua confusione se ne hai. So che per noi tutto è così difficile. So che stanno cercando di cancellarci definitivamente. So che estraniare le mie emozioni non è poi così sbagliato. Fammi smettere di piangere. Te ne prego. Voglio che qualcuno si ricordi di me. Io mi ricorderò di te. Allungo le mani verso il comodino cercando di afferrare una manciata di pasticche che ero riuscito a conservare. Un'altra fitta mi costringe a stringere gli occhi. Le pillole cadono sul pavimento liscio e freddo.


    C'era stasi in quella stanza, una strana tensione che lentamente si caricava di eccitazioni nuove. C'era amore in quella stanza, c'erano pianti che notte dopo notte avevano colorato la parete di azzurro e c'erano felicità basilari, acerbe, felicità che sarebbero rimaste tali sino alla fine, felicità vere, vive, tangibili. Charlie sapeva che se solamente avesse allungato una mano verso Edric, sarebbe riuscito a tornare sereno. Amava la pelle pallida del giovane, amava tutto di lui, persino i suoi occhi glaciali, persino il modo in cui tante sere prima, questi avevano osato fissarlo. Charlie amava Edric più di quanto riuscì ad amare Pierre, lo amava in una maniera indescrivibile ed i sentimenti che sentiva erano così intensi da fargli male. Era tornato a vivere, eppure la sua vita era appesa ad un filo: Il filo della disperazione e della solitudine. Sarebbe rimasto da solo, di nuovo. Ogni persona che egli riusciva ad amare, svaniva dalla sua vita, come se nulla fosse, come se egli non fosse fragile ed emotivo, come se nessuno ne avrebbe sofferto davvero. « Teddy.» Charlie sobalzò appena, lasciando che la schiena aderisse al muro. Edric era lì davanti a lui, sdraiato sul pavimento freddo e polveroso della stanza, intento a guardarlo, a tendergli la mano. Charlie chiuse e riaprì gli occhi più volte, quasi incredulo di averlo lì, di nuovo, in quella stanza così stretta, ma priva di pareti ogni volta che Edric decideva di stringerlo tra le proprie braccia. Puntò gli occhi azzurri ma incavati, nascosti sotto grandi cerchi violacei, in quelli luminosi di lui, rimanendo muto per un tempo forse troppo lungo, quasi non riuscisse a pronunciare alcuna parola. « Guardami Teddy.» Teddy cercò di mantenere il contatto visivo, eppure più volte, preso da brividi di freddo, sentì il bisogno di interrompere ogni cosa, quasi timoroso di non riuscire ad abituarsi alla sua assenza quando questo se ne sarebbe andato per sempre, dimenticandosi di lui. Cercò di fissare nella mente i momenti migliori passati lì dentro, le parole e gli sguardi che lo trafissero dandogli modo di fantasticare ed il modo in cui Edric gli concesse di entrare in lui, riponendo in egli le sue migliori sensazioni. Charlie aveva deciso di dar tutto al giovane, ignaro di ciò che sarebbe potuto accadere, ignaro del dolore che sarebbe potuto tornare a fargli visita. Aveva paura di soffrire di nuovo, aveva paura di rimanere lì, da solo. Edric aveva spazzato via la sua malattia, eppure egli non era in grado di rapportarsi con il mondo esterno, non ancora. «Guardami.» Teddy non lo face, decidendo di lasciarsi andare al suono della sua voce, rimanendo lontano da lui, dalle sue mani che ogni notte bramò sulla propria pelle. Teddy non si sentiva sporco se era Edric a toccarlo: non c'era nulla di male a lasciarsi scalfire l'anima in quel modo. «Guardami.» Charlie aprì velocemente gli occhi, sommerso da una strana ed improvvisa rabbia. Spingendo via Edric, decise di uscire da sotto il letto con l'intento di salire sul ventre del ragazzo. Charlie non godeva di chissà quale leggiadrezza, eppure se in preda alle proprie emozioni, spesso riusciva a dare il meglio di se. Egli era emotivo, fragile, probabilmente il più sincero di tutti, seppur in grado di mentire senza provare alcun senso di colpa. Tentò di bloccare i polsi di Edric sulla sua testa, restando a fissarlo con occhi lucidi e gonfi, in procinto di pianto. Ormai era facile piangere, era facile tirar fuori le proprie emozioni. Come si sentiva fragile. «NON TE NE PUOI ANDARE!» Gli urlò contro, per poi mollare la presa e scivolare verso il suo petto. Amava il corpo di Edric in ogni suo minimo particolare, apprezzando persino le piccole ma visibili asimmetrie. Amava toccarlo, possederlo e sentirlo solo suo...per sempre. Continuò a scivolare fino a fermare la testa sul petto del giovane, non curante dell'impressione che avrebbe potuto dare all'Edric ''sano''. Com'era ai suoi occhi? Charlie adagiò la sua testa sullo sterno di lui, poggiando volontariamente l'orecchio destro dove avrebbe dovuto esserci il suo cuore. I pugni, serrati dalla rabbia, si sciolserò al battito di Edric. Lui non ti ama davvero, solo io posso farlo. Serrò gli occhi e dopo gli innumerevoli sforzi fatti per non sembrare stolto e ''malato'', pianse.


    Edited by La Peur. - 20/6/2014, 21:03
     
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    tumblr_mw1f5yjbLY1rp31zlo3_250"Guardami Teddy."
    Una farfalla nascosta in una crisalide di diamante, impossibile da raggiungere. I primi tempi si era ferito le unghie provando a penetrare le sue difese, cozzando contro il muro che si frapponeva tra loro. Aveva battuto i pugni, la testa, il cuore che non sapeva di avere contro di lui e non aveva visto che un'immagine fugace di ciò che realmente si nascondeva dietro quegli occhi infossati. Segreti lavati col sangue delle sue stesse vene. Odiava vedere ferite deturpare la pelle che tanto amava, come un amante geloso tentava con ogni mezzo di preservarlo da ogni male, soprattutto da quando aveva appreso i segreti per penetrare dentro la crisalide di diamante, incolume, senza feriti. Da quando Edric aveva iniziato la risalita, lenta e faticosa, verso un barlume di sanità mentale, tutto ciò che aveva desidero era afferrare la mano di Charlie per trascinarlo con sé, tenerlo stretto per sopravvivere al cambiamento. Aveva paura dei cambiamenti. Aveva paura di perderlo nella risalita, di vederlo cadere, sapere che avendolo portato così in alto la caduta avrebbe fatto più male. Non avrebbe sopportato una fine simile. Guardami. Non avrebbe sopportato una lontananza simile. A stento riusciva a immaginare una notte tranquilla senza il corpo di Charlie contro il suo, senza il suo respiro sul collo, senza le attenzioni di cui ormai era divenuto dipendente. Nessuno parlava mai degli effetti collaterali di un sentimento simile, tanto forte da spazzare via i fumi della malattia e allo stesso tempo da far male, rovinare tutto per sempre. Rimase con la mano allungata sotto il lettino metallico, quello scomodo strumento di tortura su cui aveva vissuto i momenti più belli. Fantasticava spesso su come potesse essere la vita lontano dal Craven, vivere la normalità accanto a Charlie. La mente però ritornava là, a quelle stanze sporche, a quei pavimenti freddi che avevano conosciuto il tepore dei loro corpi uniti, al silenzio strappato ai loro gemiti controllati per non farsi sentire dalle guardie del turno di notte. Appartenevano segretamente a quel luogo tanto quanto appartenevano l'uno all'altro, stretti da un vincolo che solo la forza avrebbe potuto spezzare, dolorosamente.
    (lascialo marcire)
    Lui non aveva mai accettato Charlie, ciò che riusciva a dare a Edric, l'importanza che si era ritagliato.
    Guardalo. Quel sangue è per me.
    (lascialo morire)
    Sanguineresti per me? Moriresti per me? Mi ameresti come fa lui?
    Amore. Aveva imparato il significato di quella parola durante le sedute di psicoterapia. No, non ho mai avuto una ragazza. No, non mi interessa avere una ragazza. No, non ho mai avuto interesse per una ragazza. No, non so cosa sia l'amore. Frasi che Edric ripeteva ormai meccanicamente, stanco di essere costretto a parlare di idiozie, stanco di parlare e basta. A che servono le parole? Uno sguardo basta. Bastò a Teddy per uscire fuori dal suo nascondiglio, un animale rabbioso e ferito. Edric non oppose resistenza quando il ragazzo gli saltò sopra, bloccandolo pesantemente al pavimento dai polsi. Avrebbe potuto opporsi, avrebbe avuto qualche chance ma il calore e il dolore della stretta di Charlie lo costrinsero là dov'era, immobile e incantato. Quella reazione di puro istinto era uno spettacolo. Era tutto ciò che desiderava. Gli occhi di Charlie, prima ancora della sua bocca, gridarono un dolore che straziò Edric. Lo sentiva. Soffriva tanto che neanche le lacrime avrebbero potuto alleviare le sue pene. "NON TE NE PUOI ANDARE!" Rimase fermo, glaciale, fissandolo dal basso con i grandi occhi cerulei sgranati. Non posso andarmene. Quindi anche lui aveva saputo, la voce si doveva essere sparsa per l'ospedale. Una parte di Edric non avrebbe mai voluto che Charlie sapesse, avrebbero potuto vivere intensamente i loro ultimi momenti insieme. Avrebbe potuto mentirgli, fargli chiudere gli occhi, farlo dimenticare. Poteva? Ci avrebbe potuto provare. Ma si era nutrito tanto e tanto a lungo di quelle emozioni così genuine e autentiche che forgiarne di altre, basate sulla falsità e sulla più grande delle bugie, non sarebbe stato giusto. Voleva preservare il cuore di Teddy e tutto ciò che conteneva ma non sapeva come fare. La stretta ai polsi si sciolse dolcemente e il ragazzo, distrutto, scivolò sul petto di Edric. Lo abbracciò, cercando il braccio che aveva ferito intenzionalmente in un moto di disperazione. Lo prese tra le dita e lo portò alle labbra, leccando via il sangue dalla pelle dolce e pallida di Teddy, succhiando tutta la disperazione di quel gesto. Baciò la ferita, baciò il palmo della sua mano e le dita, una ad una con metodica perizia, e quando finì bacio anche il dorso. Cosa avrebbe potuto dire per rassicurarlo? Solo una bugia. Nessuna bugia. "Non me ne voglio andare." soffiò piano, accarezzandogli i capelli scuri com'era abituato a fare ogni notte, oltre la fronte imperlata dal sudore del loro rapporto. "Non voglio lasciarti indietro. Non voglio tornare quel che ero." Sentiva gli occhi farsi lucidi. Erano le medicine o il proprio cuore, finalmente, a parlare? Una mano scivolò lungo la schiena di Charlie. "Dimmi quello che provi. Dimmelo all'orecchio." Voleva le sue labbra vicine, voleva assaporare le sue lacrime. Sentire ciò che Teddy sentiva non gli bastava più: voleva saperlo dalla sua bocca. Una conferma che tutto quello non fosse un'allucinazione da benzodiazepine e litio in endovena.
     
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  5. La Peur.
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    Inerme sin dalla nascita, verme sin dall'infanzia, Teddy avrebbe continuato a sgusciare sul pavimento freddo ed umido di quella stanza fino a morirvi, soffocando nel suo stesso sangue, nuotando nelle sue stesse paure aumentate dall'assenza di Edric per cui non avrebbe combattuto affatto. Incapace di gestire i propri desideri, egli non avrebbe mai osato imporsi davanti a chi avrebbe potuto isolarlo ultimamente, allontanandolo da Edric, allontanandolo da chi avrebbe potuto farlo sentire bene. Charlie sapeva che nel rimanere solo non avrebbe fatto altro che cadere nuovamene nei suoi soliti vizi, proprio come avrebbe fatto un bambino per ripicca, raccattando l'attenzione di chi si trovava nei paragi, per poi fuggire, sghignazzando a bassa voce, infilandosi velocemente tra le gambe di qualcuno che mai avrebbe amato, lasciando qualcosa di se, il suo liquido malato: perché la malattia era qualcosa di genetico, il dottore lo aveva detto a sua madre e sua madre lo aveva sparso per casa, come se non bastassero gli atti di bullismo verbale che avrebbe subito da suo padre, schifato di avere un figlio come lui. Eppure, in quelle convinzioni fuori dal comune, c'era della vittoria, la vittoria di un malato che avrebbe potuto accusare i suoi odiosi familiari senza poter essere contraddetto in alcun modo. A stretto contatto con Edric, Charlie non avrebbe fatto altro che risucchiare la propria linfa vitale, rimanendo immobile e fastidioso proprio come un parassita, per nulla in grado di mostrarsi autonomo, per nulla capace di vivere. Eppure in quella stanza c'era vita, vi erano sprazzi di sincerità, di sentimenti veri, quasi tangibili, vi era esistenza, eternità, vi erano due corpi vivi,veri, nessuno era il frutto delle allucinazioni dell'altro, Edric non era di certo come Pierre, Edric era in carne ed ossa, Teddy lo sapeva, Teddy ne poteva ascoltare il cuore, ne poteva toccare le parti più nascoste, ne poteva amare ogni centimetro di quel suo corpo pallido ma macchiato dalla malattia. « Non me ne voglio andare. » Charlie alzò gli occhi in quelli di Edric, fregandosene delle lacrime che continuavano a rigargli il viso sporco dalla polvere. Lo guardò incredutolo, convinto che sarebbe rimasto da solo di nuovo, convinto che niente sarebbe mai cambiato nella sua scarna vita e che tutto sarebbe tornato alle origini, per poi sfociare nella satiriasi, nella depressione, nell'autolesionismo, nelle visioni e nel manicomio, così finché non sarebbe morto per overdose da farmaci in un angolo della sua cella. « Non voglio lasciarti indietro. Non voglio tornare quel che ero.» Charlie fece spallucce e continuò ad osservare il suo petto, muovendo i polpastrelli sul suo cuore, immaginando che l'indice ed il medio fossero le gambe di un omino che tentava di entrarvi dentro...senza però riuscirci. «Ma sei guarito, ti dimenticherai subito di me quando sarai la fuori.» Per Teddy il mondo fuori dal Craven era solamente una fiaba,una di quelle leggende metropolitane in cui tutti conoscevano la ragazza che si infilò il wurstel nella vagina, ritrovandoselo incastrato, rotto all'interno, senza però vederla realmente. Ecco, il mondo era una menzogna, tutti ne parlavano al Craven, ma chi lo aveva vissuto realmente? Edric sarebbe stato il primo a constatare la realtà di quel racconto. « Dimmi quello che provi. Dimmelo all'orecchio.» Charlie non aveva più nulla da dire, nulla di positivo almeno: sentiva uno forte dolore al petto che non riusciva a spiegare, era come sentirsi trafiggere più volte e nello stesso punto da un'arma affilata, fu come quella volta che tentò di uccidersi per lui, credendo di averlo perso per sempre. Teddy si strinse di più a lui, strusciandosi ulteriormente contro il suo corpo, facendo aderire volontariamente il suo bacino a quello di lui. Si strusciò piano, respirandogli vicino all'orecchio. Le labbra pallide e spaccate ne sfioravano appena la pelle. Probabilmente quello sarebbe stato l'ultimo contatto che gli sarebbe stato concesso. Socchiuse gli occhi godendo appena di lui, schiudendo i denti che fino a poco prima aveva digrignato, quasi tentando di resistere ai suoi impulsi sessuali: Si era promesso di mostrarsi più umano agli occhi del suo ''fidanzato''. «Io ti odio, ma andrà tutto bene qui...senza di te. » Era noto come Charlie tendesse a mentire nei momenti di frustrazione, eppure era possibile notare della verità nelle sue parole: L'amore che provava per Edric era così forte da farlo sussultare nel pronunciare le parole ''senza di te'', come se fosse stato appena colpito da una scosta, lasciandolo tremante, proprio come durante un elettroshock. Teddy sapeva come avrebbe reagito quando tutto sarebbe finito per sempre, sapeva come avrebbe dato in escandescenza e timoroso di venir isolato ulteriormente, aveva trovato dei piccoli rimedi per togliersi la vita, raccongliendo vari oggetti che teneva segretamente nascosti sotto una mattonella dismessa del pavimento: c'erano vetri sporchi, pillole sporche, pezzi di ovatta sporchi. Se non fosse morto dissanguato avrebbe passato allo stato successivo: l'overdose, che avrebbe anticipato il soffocamento ed il tetano. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di evitare una vita in cui Edric non sarebbe stato presente, perché egli sapeva che non ci sarebbe più stato modo di vederlo, nessuno lo avrebbe fatto uscire da lì, lui non era sano e mai lo sarebbe divenuto. Avrebbe voluto picchiare Edric, per poi far l'amore con lui in qualsiasi punto della stanza, per ore interminabili, giorni, notti, non avrebbe più dormito sino alla sua partenza, non avrebbe di certo osato perdere dei minuti preziosi che avrebbe potuto spendere in compagnia di lui. Non era la morte a spaventarlo, ma il tempo e la consapevolezza di non poter fare tutto ciò che aveva sempre desiderato da quando era lì dentro. Si staccò immeditamente da Edric, quasi sentisse il bisogno di abituarsi alla sua assenza, mentendo sempre di più a se stesso. «Perché non puoi portarmi con te? Non sono così diverso io!» Odiava terribilmente i suoi sbalzi di umore, odiava mostrarsi debole, eppure era sempre stato così, mai in grado di rendersi forte da solo, mai in grado di risolvere le cose senza chiedere aiuto agli altri. Era un inutile parassita, se lo ripeteva sempre, quasi ogni giorno e sempre, chiedeva aiuto al suo Dio che lo aveva abbandonato, esprimendo il desiderio di divenire un pò come Edric. «Non sono una brutta persona, non ti farò del male.» Si era alzato in piedi, per poi indietreggiare presso uno degli angoli della stanza, curvando le spalle come a volersi nascondere lì, divenendo un tutt'uno con la parete. C'era una parte della sua mente che lo incitava ad inveire contro Edric, convinta che fosse lui a non volerlo con se: era Jimmy, che prendeva il sopravvento ogni volta che Charlie si sentiva debole. Scivolò contro la parete, fino a finire con il sedere a terra. Si ranicchiò ancor di più in se stesso, stringendosi al petto le gambe magre e pallide. Sembrò calmarsi, eppure le sue mani non cessavano di muoversi: aumentarono sempre più forte, fino a colpire con forza le mura di quella stanza, con l'intento di farle cadere. Cercava di non colpirsi, di non tentare di distruggere quel dolore che sentiva dentro. Non poteva mostrarsi debole. «Perché non te ne vai adesso? VATTENE! Dovevi startene nella tua stanza, non avresti dovuto cercarmi. » Charlie aveva terribilmente paura dei suoi sentimenti, specialmente quando non li conosceva o non sapeva come controllarli. Camminò carponi verso di lui, salendogli nuovamente sopra. «Non puoi lasciarmi da solo anche tu... » Mugugnò con un filo di voce, infilando velocemente le mani nei pantaloni bianchi del ragazzo, facendo per sfilarglieli. Edric era suo, lui lo amava e nessuno avrebbe potuto portarlo via, nessuno avrebbe potuto toccarlo, nè guardarlo, ascoltarlo o baciarlo. Edric era suo,suo soltanto ed egli avrebbe fatto di tutto pur di tenerlo incollato a se, nascosto nella sua campana di vetro, trasparente al mondo esterno. Viveva la propria esistenza come fosse in un diorama, imbalzamato nelle sue paure più profonde, dando sfogo di se ogni volta che gli sarebbe stato richiesto. «Tu sei mio, mio, SOLO MIO! » Con le mani piccole e calde varcò senza alcun timore quella barriera che lo divideva dalla pelle morbida di lui, afferrando la sua intimità. Per quanto desiderasse avere Edric per se, c'era qualcosa di così nuovo ed umano in lui che riusciva a tranquillizzarlo o almeno, che sembrava riuscire a distrarlo da quell'unico desiderio che fino a poco tempo prima era giornalmente presente nella sua piccola e bacata testolina. «Perché io non posso essere tuo? Perché non mi vuoi più? » Pianse di nuovo, ancora, lasciandosi scivolare con il volto nell'incavo del suo collo, che bacio lievemente, prima di sfilare la mano dai suoi slip, per così poterlo stringere in un forte abbraccio. Se solamente gli avessero dato modo di essere se stesso, Charlie si sarebbe preso cura di Edric e lo avrebbe amato con estrema intensità, per sempre.
     
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    La reazione di Teddy gli fece male. Sapere che avrebbe potuto non rivederlo mai più gli faceva male. La stessa aria che respirava gli faceva male, raschiava sull'epitelio della trachea, gli bruciava i polmoni e la sentiva pesante. Non la sopportava. Non sopportava più quel posto perché tutto gli ricordava l'inevitabile separazione da quella che per mesi era stata un'ancora. Aveva usato Charlie per vedere il mondo, parassitandovi, divorando le sue emozioni. Ma quel legame, quella simbiosi era diventata ben presto un'unione alla quale Edric non sapeva rinunciare. Era una coperta durante l'inverno, l'aria fresca estiva. Senza, semplicemente non avrebbe potuto vivere bene. Sarebbe diventato un sopravvissuto e nulla di più. "Io ti odio, ma andrà tutto bene qui...senza di te." Non era vero. Non poteva essere vero! Doveva essere una bugia, una delle loro infinite bugie. Ne dicevano continuamente. Usciremo presto. Stiamo bene. Non abbiamo bisogno di niente. Saremo felici. La bugia era una coccola che li cullava tra le lenzuola bianche e fetide. La bugia era il più potente antidepressivo a loro disposizione. Ma quella particolare bugia ferì Edric in un luogo in cui mai prima aveva sentito dolore; era il bello del non sentire niente. Tacciono le cose belle. Tacciono le cose brutte. Edric non aveva mai sofferto dei graffi dei sentimenti finché Charlie e le pillole non avevano fatto effetto, ognuno a modo loro, e avevano lasciato libero un varco al dolore. Ne aveva sentito spesso parlare come di un dolore terribile e una volta aveva perfino visto Audrey, la terribile magnifica Audrey, piangere nel buio della sua camera. Ma non era mai riuscito a comprendere - mai avrebbe potuto - fino al momento in cui venne messo in dubbio l'amore di Charlie nei suoi confronti. Le membra si distesero, arrendendosi alle mani di Teddy. Era la cosa più giusta da fare. Una forma di espiazione per il grande peccato d'essere stato scelto dalla buona sorte. Perché era migliorato? Perché aveva fatto così tanti passi avanti allontanandosi così da lui? Non lo sopportava! Non era giusto. tumblr_inline_mm6wuauBMR1qz4rgp
    Non odiarmi.
    (è tardi)
    Odiami, me lo merito.
    (è finita)
    Odiami, ti prego.
    Lui di certo si odiava. Il respiro di Charlie era ghiaccio sulla sua pelle, le sue parole lamette che gli ferivano la carne. Ma rimase impassibile sotto di lui. Era bello sanguinare sotto i suoi polpastrelli. Rimase inerme e fermo, una pallida statua di marmo, quando questi si allontanò per approntare da solo i propri fantasmi; fece altrettanto quando con furia selvaggia tentò di macchiare ciò che da sempre tra loro era stato puro e incontaminato. Non era mai stata la rabbia ad unire i loro corpi. Il loro amore, per quanto malato fosse, si era rivelato essere limpido e senza peccato. Ma avrebbe accettato le macchie e con esse l'odio di Teddy. Lo voleva. Lo meritava. "Perché io non posso essere tuo? Perché non mi vuoi più?" Perché doveva fare così male? Perché era tanto difficile esternare quella tempesta di pensieri alla rinfusa che aveva dentro? Non trovava parole giuste, aveva solo errori sulla punta della lingua. Aveva paura di peggiorare la situazione e di vederlo allontanare ancora di più. Voleva piangere. Piangi Edric. Ma gli occhi rimasero secchi. Bruciavano. Almeno erano coerenti col resto del corpo, almeno loro non mentivano. Ogni tentativo di rassicurazione moriva in gola, lacerato dall'incertezza del futuro, dalla nostalgia del passato e dalla paura per quel presente che non accennava a migliorare. Lo costrinse faticosamente a rialzarsi in piedi e restò di fronte a lui. Lo fissò per rassicurarlo e tutto sembrò, per un solo attimo, com'era sempre stato. Senza aggiungere niente, incurante delle mille variabili che gli erano avverse, Edric prese a spogliarsi lentamente e a ripiegare con cura ogni indumento, creando una pila sopra una sedia. Accurato e meticoloso com'era sempre stato. Che importava se gli infermieri fossero entrati e l'avrebbero colto in flagrante, contro ogni regola dell'ospedale? Una punizione magari avrebbe ritardato le sue dimissioni! Avrebbe risolto tutto. Ma nessuno entrò mai e la pila di vestiti crebbe a poco a poco. Rimase solo l'intimo a coprire la pelle diafana del ragazzo che intrecciò le dita con quelle di Charlie e lo tirò con sé sul lettino di ferro. Gli diede le spalle per farsi abbracciare, la schiena nuda contro il suo petto. Il respiro contro il collo. I brividi che ne scaturivano erano una delle poche certezze che aveva. "Mi vuoi anche se sono una persona cattiva?" Lo era. Aveva sconvolto Teddy! Era stato così crudele permettere che le medicine lo guarissero. Era stato egoista. Non riuscì a resistere all'impulso di voltarsi e guardarlo fisso, aveva bisogno di quegli occhi. Lo mantenevano lucido. Lo mantenevano vivo. "Non odiarmi, ti prego. Anche se me lo merito. Ti prego.." lo baciò velocemente, inesperto. Ancora e ancora. Alternava i baci alle preghiere, si sentiva pessimo e inadeguato in entrambi. "Facciamo l'amore." Gli piaceva usare quell'appellativo, quando parlava degli amplessi con Charlie. Trovava la parola "sesso" terribilmente squallida. Gli ricordava le sveltine con gli infermieri e col resto del mondo. "Puoi.. farmi male se vuoi. Così siamo pari." Ma non cacciarmi. Gli lasciò un ultimo bacio a stampo sulle labbra fredde. Il debito che sentiva nei confronti di Teddy lo stava schiacciando. Le dita esili di Edric armeggiavano goffamente con i bottoni della casacca dell'altro, tremavano. Così il resto del corpo. Non vedeva alcuna guarigione in sé stesso, non vedeva altro che squallore e promesse infrante.
     
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  7. La Peur.
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    Sarebbe bastato poco per morire per sempre. Sarebbe bastato poco per raggiungere la pace eterna. Dio lo avrebbe schifato ma a Teddy non importava, tutto sarebbe stato perfetto se lo avesse allontanato da quella vita che tanto detestava. Edric era l'unico spiraglio in quel buio eterno. Edric era la sua gabbia dal cancelletto aperto, era la bellezza, tutto ciò che egli avrebbe potuto desiderare e mai permettersi. Edric era un dono, un dono che richiedeva qualcosa in cambio e Charlie, conscio delle sue incapacità, sapeva che mai avrebbe potuto barattare qualcosa in cambio del suo amore eterno. Come un bambino messo al mondo troppo presto, Charlie necessitava di quelle ulteriori attenzioni che nessuno sembrava potergli donare. Il mondo sembrava troppo impegnato per potersi fermare solamente un minuto. Nessuno sembrava in grado di notare le sue ferite, nessuno sembrava essere propenso nel curarle, eppure Edric l'aveva fatto, senza chiedere nulla in cambio. Non c'era cosa più dolorosa per Teddy se non quella di vivere una vita in completa solitudine, tenuto a debita distanza da tutti coloro che un tempo avevano occupato un ruolo importante per lui. Egli non ricordava di essere mai stato amato, né da suo padre, nè da sua madre, suo fratello Pierre si era gettato dalla finestra ed il nuovo compagno di sua madre era un omofobo che si divertiva a torturarlo con sui figlio Ian, schifandolo per qualsiasi cosa egli facesse.
    Entrare al Craven forse si era rivelato essere una salvezza: nonostante il dolore che egli avesse provato all'inizio fosse intenso e sembrava squarciargli il petto, egli era riuscito ad ottenere l'opportunità di stare via da quella casa che tanto odiava. Charlie odiava molte cose, ma allo stesso tempo provava amore verso alcune di esse, un amore puro, assai infantile, che con il passar del tempo, non aveva fatto altro che distruggerlo. Probabilmente era questo amore ed il suo insaziabile bisogno di riceverne in cambio che lo avevano reso pazzo. Forse la Sindrome di Cotard unita alla Satiriasi erano solamente delle scusanti che servivano a tenerlo incollato lì, a riparo dalla sua ''famiglia'', forse egli non era veramente malato come tutti credevano certo, finiva sempre tra le gambe di individui -che lo usavano o si lasciavano usare- che nemmeno conosceva, ma questo di certo non lo rendeva detestabile, nè vergognoso. Charlie era semplicemente sincero, lo era sempre stato, mai aveva avuto timore di mostrare i propri sentimenti, seppur furono questi a decretare la sua alienazione. Non sarebbe mai stato decretato sano perché egli non lo voleva, eppure c'era una parte di se che desiderava ardentemente fuggire da quel posto, dall'elettroshock e dai farmaci. Voleva sposare Edric, ci aveva pensato più volte durante il suo internamento, eppure mai aveva osato parlargliene. Charlie era tornato ad amare un essere vivente, ritrovando in esso il verso significato della vita, sentendosi felice, colmo di qualcosa che non ricordava di aver mai provato, eppure le paure in lui erano sempre vive e non facevano altro che sottometterlo, giorno dopo giorno. Charlie lo amava con tutto se stesso, eppure, come di suo solito, qualcuno non stava facendo altro che portarglielo via.
    Egli non lo guardò più, non osò incrociare gli occhi di Edric dopo quello che era riuscito a dirgli. Le crisi lo rendevano un mostro ed era doloroso quando la sua parte razionale tornava a fargli compagnia. Essere pazzi, commettere atti violenti per poi ricordarsi ogni cosa. Le mani gli tremavano, voleva infilarla nelle vesti di Edric, voleva infilarle nelle sue, voleva trovare tramite esse quel piacere che sin da sempre era riuscito a renderlo felice, eppure sapeva che cedendovi, non avrebbe fatto altro che porre il suo amato alla pari di tante altre persone di cui nemmeno ricordava i volti. Si passò una mano verso il bassoventre per poi ritirarla immediatamente, lasciando che Edric lo afferrasse. Non parlò più, respirò sempre più lentamente. La morte sembrava essere piombata sulle loro teste, i corvi erano tornati a reclamare il loro pasto. Singhiozzò appena, ma non pianse. Era difficile non dar sfogo a quella parte morente che, all'interno del suo petto, scalpitava e singhiozzava, strozzandosi con il suo stesso pianto. Edric si stava sfilando i suoi capi, riponendoli meticolosamente mentre Charlie teneva lo sguardo basso, timoroso di cosa avrebbe potuto succedere se lo avesse guardato. Charlie avrebbe voluto essere un altro, avrebbe voluto essere qualcuno che Edric avrebbe ricordato e magari, per cui sarebbe andato fiero, ma come cominciare? Fu invitato a salire sul lettino e a stringere il corpo seminudo del ragazzo tra le braccia. Con titubanza, Teddy cinse le braccia magre e rovinate attorno i fianchi del ragazzo e chiuse gli occhi. Egli voleva normalità, qualcosa di normale, di bello. « Mi vuoi anche se sono una persona cattiva? » Charlie annuì con un cenno del capo e posò appena le labbra spaccate sulla schiena di lui. Gli lasciò un flebile bacio, proprio come aveva visto fare in un film d'amore. Quando il ragazzo si voltò egli ebbe un sussulto: era sin troppo bello per essere vero, era sin troppo profondo. Charlie non se lo meritava, non meritava una briciola di Edric. Abbassò subito il capo, timoroso del suo sguardo, sapendo di aver sbagliato ogni cosa e di essere incapace nello scusarsi. «Non odiarmi, ti prego. Anche se me lo merito. Ti prego.. » A sua volta, non riuscendo a resistere alla bellezza di quel viso roseo, il ragazzo scosse la testa, osservando i grandi ed ipnotici occhi di Edric. «Non te lo meriti.» Biascicò balbettando, stringendo ancor di più le braccia attorno a lui, muovendo le dita sulla sua pelle candida. Perché non avrebbe potuto avere tutto ciò ogni sera? «Facciamo l'amore.» Esclamò il moro dopo averlo baciato, lasciandolo inerme e perso nel proprio mondo. Un dolce sorriso apparve sulle labbra di Charlie, che si sentì immediatamente felice, nonostante fosse insicuro sul significato di quelle parole. Facciamo l'amore. strabuzzò gli occhi, per poi posarli sulle mani di lui, intendo a mettere a nudo i suoi desideri più profondi. Se fosse stato il Charlie di quasi un anno prima, probabilmente non si avrebbe fatto alcun problema anzi, sarebbe stato egli stesso a prendere l'iniziativa, sgusciando tra le gambe di Edric per poi bloccarlo al lettino. Che fosse giusto il momento di parlare apertamente dei propri sentimenti? Nei film di solito finiva tutto liscio, egli ricordava di averne visti molti, di conseguenza si sentiva pronto, eppure continuò a tremare. «Puoi.. farmi male se vuoi. Così siamo pari.» Charlie scosse la testa con un movimento secco e, con estrema difficoltà, fece per bloccare le mani di lui. Inchiodò i proprio occhi ai suoi e rimase così, immobile per un momento. L'amore non era solamente fare quelle cose per cui era stato decretato insano, no, qualcuno glielo aveva spiegato una volta. Si baciarono di nuovo e Charlie si affrettò a far durare quel momento a lungo, sentendo bisogno di qualcosa di più puro, semplice. Ti amo Il suo cuore pulsava forte, sembrava aver ripreso vita, mentre le sue ferite smisero di bruciare. «Quando usciremo...potrò sposarti?» Mormorò a mezza bocca, timoroso di aver detto una stupidaggine, senza sapere che, usciti da lì, egli non avrebbe più rivisto quel viso che tanto amava, nè avrebbe più sfiorato la sua pelle, né ascoltato il suo cuore. Avrebbe dovuto aspettarselo, in fin dei conti la vita non sembrava andare per il verso giusto, non per lui almeno. Dopo la loro separazione, nessuno gli avrebbe più chiesto di fare l'amore, né avrebbe baciato i suoi graffi facendolo snetire bello,desiderato o amato.

    ''Nel mio piccolo e strano mondo, era difficile che dei sentimenti di tale potenza potessero entrarvi; la mia vita si era rivelata essere così scarna che ogni volta che quest'ultima tentava di donarmi qualcosa, finivo per considerarla blanda e gettarla via. Tu non ti sei rivelato essere nulla di blando. Seppur in malo modo, hai colmato il mio vuoto con intense emozioni altalenanti. Quella sera, per la prima volta in tutta la mia vita, decisi di esternare i miei sentimenti e di donarli a qualcuno. Ti ho messo il cuore in mano e spero tu te ne sia accorto. Mi hai accolto dentro di te senza timore alcuno ed io, approfittandone del tuo calore, ho nuotato tra i nostri timorosi sentimenti. Non avrei mai osato ferirti, per la prima volta in tutta la mia vita avevo deciso di accarezzare l'anima di qualcuno senza scalfirla in alcun modo. Ero a conoscenza del dolore a cui quest'ultima portava: se ferita, l'anima brucia per un tempo interminabile.Ho sempre avuto molto da dare, ma nessuno ha mai voluto accettare i miei doni. I miei strani sentimenti ardono in potenti fiamme: diveniamo cenere al loro calore eppure quest'ultime non cessano di bruciare. Se questo è considerato l'inferno, andrei a letto con Lucifero ogni sera e bacerei le sue labbra peccatrici fino alla fine dei miei giorni. Mi sono aperto a te e tu hai preso tutto, avrei continuato a donarti ogni centimetro del mio corpo se solamente non te ne fosti andato. Non avevo più alcun segreto per te, avresti potuto leggere la mia anima in un battito di ciglia. Per la prima volta in tutta la mia vita ero riuscito a mettermi a nudo davanti ad una persona senza sentir freddo, senza morir di solitudine tra le barriere da me alzate. Il mondo insieme a te mostrava ampi prati verdi, avremmo potuto nuotare tra la nostra carne e scovarne dell'amore. Un puro e semplice sentimento d'amore. Accarezzai il tuo corpo con il terrore di macchiarti e di vederti marcire sotto ai miei occhi, ti accarezzai con la cura di chi sa che tra le mani sta tenendo qualcosa di prezioso. Eravamo fragili, ma tu riuscisti a dimostrarti molto più fragile di me. Tremavi sotto i segni tracciati dai miei polpastrelli ed ansimavi, riscaldando il mio corpo con il tuo buon odore. Amavo il tuo odore, l'odore del tuo respiro, tutto di te risultava afrodisiaco per i miei cinque sensi. Ero inerme ad ogni volere della carne, ero inerme ad ogni tuo volere. Avrei potuto disintegrarmi sotto ai tuoi occhi se solamente tu mi avessi guardato. Ti amo Edric, ti ho sempre amato, persino in quella notte in cui, insicuro dei miei sentimenti decisi di addentrarmi nel tuo vuoto. Sono riuscito a colmarlo Eddy? Riesci finalmente a sentirmi? Forse ora siamo lontani chilometri e chilometri, eppure ti sento così vivo dentro di me che quasi mi sembra di vederti qui. Mi stai accarezzando la mano e mi parli delle tue paure. Non c'è notte in cui io non riesca a sognarti. Eddy, mi fai piangere. Come può qualcosa di materiale divenire assenza? possibile che il mio amore per te è così grande perché grande è la tua assenza? Torna qui, te ne prego. Gli uccellini non cantano più sopra la mia testa, i corvi volano in tondo aspettando la mia fine. Questa vita senza di te sembra così eterna che quasi non vedo l'ora che la morte giunga a prendermi. Ti stringo tra le mie braccia e la mente mi riporta a quando ti lasciasti guidare da me. Ti sento ancora respirare sul mio corpo nudo e tumefatto, ti sento ancora accarezzarmi la pelle e baciarmi queste labbra spaccate ed arrossate. Sento ancora la tua pressione su quest'ultime. Schiudo le labbra e bacio un ricordo che non sarà mai più mio. Vorrei dimenticarti per tutto il dolore che questi ricordi mi procurano, eppure non posso farlo: dimenticando te tornerei a vivere una vita vuota e senza significato. Dimenticando te potrei considerarmi con il cappio teso alla gola. Seppur mi rivelassi titubante a riguardo, ti diedi modo di infondere colore e gioia alla mia inutile e noiosa vita. Se il nostro ciclo vitale si basasse su di un marchingegno principale per riuscir a ruotare, probabilmente il mio ruoterebbe attorno alla tua presenza. Io sono la terra, tu sei il mio sole: mi risulta impossibile non girarti attorno. Potrei morirne.''
     
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